Cara Elena Ferrante,
voglio dirti che nemmeno mi interessa sapere se ti chiami davvero così o se invece il tuo nome è Anita o, perché no, Domenico – per anni mi sono imposta di non sapere che faccia avessero i miei scrittori preferiti, quindi figurati se ho problemi con il fatto che tu non abbia mai mostrato il tuo volto in pubblico o che dietro al tuo nome si celi una persona completamente diversa. A queste cose si può sopravvivere e comunque non ho altro da aggiungere sul tuo conto.
Ma è successa una cosa curiosa: Saviano ti ha candidato allo Strega per disfare il solito schema del premio e tu hai accettato la candidatura; adesso non si può, non si riesce a parlare d’altro e la gente sta impazzendo, letteralmente. Ma la maggior parte non lo fa per quanto hai detto in quella risposta pubblicata su Repubblica – e i modi algidi con cui ti sei staccata dalla tua opera al momento della sua pubblicazione, la presunzione nella denuncia all’irriformabilità dello Strega comprovata da una tua mancata vittoria, o l’indifferenza verso meccanismi e manovre che non ti toccano –, assolutamente: lo fa perché vorrebbe sapere chi sei. C’è persino chi decide di mettersi sulle tue tracce per ricavarne un documentario, chi rilascia su carta stampata interviste trovate per caso in un cassetto o apre finti account Facebook a tuo nome, il tutto soltanto per avere brandelli di te sempre più reali, sempre più afferrabili e vicini, come tu non sei mai stata. Allora è in questi casi che mi verrebbe da lasciar perdere tutto e consigliare a te di fare altrettanto, ma purtroppo la macchina si è già messa in moto. E la cosa più fastidiosa di questo polverone di parole molto spesso pronunciate a sproposito è che si rischia di dimenticare la vera e genuina bontà dei tuoi libri.
Perché, parliamoci chiaro: tu sei la prova vivente di quanto l’esposizione di uno scrittore non sia strumento necessario alla fortuna dei libri che scrive. Tu ti sei forzatamente e consapevolmente privata di una categoria negando al nome un corpo, il tutto a favore di opere con copertine raffiguranti (fatalità) donne senza volto, di spalle, che sembrano guardare dentro all’opera e suggerirci che, forse, la Elena che tanto cerchiamo è sempre e solo stata lì. Ed è proprio in virtù di questa sottile complessità di strategie letterarie che spontaneamente mi verrebbe da chiederti: perché ora uscire dagli schemi che hai così abilmente architettato e seguito per più di vent’anni?
Sarebbe fastidioso scoprire che di un altro teatrino si tratta. Ma io sono soltanto un’altra voce che si aggiunge al coro.