Fuori di che?

Ogni anno si assiste a un interessante fenomeno di emigrazione studentesca. Si tratta dell’esodo di circa 250.000 studenti  che decidono di lasciare la città in cui vivono in nome dello studio e dei loro sogni grandi. Uno studente che decide di alloggiare lontano dal proprio indirizzo di residenza accede di diritto allo status di fuorisede.

L’indipendenza e la libertà formale rivolgono al fuorisede debuttante uno sguardo provocatorio: questo era di fatto ciò che desiderava, questo il leitmotiv degli intensi pomeriggi invernali invocando sui libri il dio Autonomia, mentre ringhiava nervosamente “iofaccioquellochemipare” al peluche e al quaderno di storia. Le dinamiche mutano drasticamente non appena si varca la soglia del nuovo domicilio.

Non esiste forse concetto più complesso e controverso di quello di libertà. Libertà è un bagno allagato. È una casa vuota, una cena non pronta. Libertà è cibarsi di mozzarelle in scadenza per giorni, è una moka da buttare, un limone avvizzito, un bisogno spropositato di cioccolato. Dosi massicce di spaghetti al pomodoro formato famiglia che si alternano a scatolette di tonno, materassi sfondati, connessione assente e tv in grado di trasmettere le migliori repliche delle migliori telenovelas latino-americane degli ultimi trent’anni, tendono ad affermare un primo distacco dalle aspettative iniziali, ma forniscono spesso anche ottimi spunti per darsi ad audaci fantasie pindariche e stimolare ciò che di più inestimabile possieda uno studente universitario, soprattutto se esordiente: l’immaginazione ottimista.

Un fuorisede parte da un presupposto: ha in primis una sede, una casa, una base a cui reggersi, spesso agli antipodi rispetto a quel mondo fatto di sogni, speranze, stereotipi e American Pie, di cui l’aspirante fuorisede tende a nutrirsi. Spesso il contrasto tra utopiche idealizzazioni e realtà è netto. Allora ci si chiede perché. Perché non è così facile sentirsi a casa? Perché se i contrasti con i genitori non sono mai mancati, non è così immediato il senso di appartenenza a una dimensione esclusiva, voluta, plasmata sulle proprie esigenze? Lo studente si rende conto allora che esiste una consistente discrepanza tra casa e sede. Se prima del trasferimento avvertiva l’esigenza di esplorare mondi nuovi prima di arrendersi a una pace con sé stesso, dopo il trasferimento manca qualcosa. Il termine fuorisede potrebbe allora risultare impreciso e lo studente potrebbe sentirsi più fuoricasa o senzasede.

Il trucco sta nel coccolarsi, reagire, rialzarsi, volersi bene, nel ritrovare quei piccoli piaceri che rendevano casa la vecchia non sede e che facciano sembrare più amichevole la nuova non sede. Quasi sempre lo studente fuoricasa che voglia prendersi cura di sé trova un ottimo alleato nel cibo. Una fredda serata può essere un ottimo espediente per un piatto di tortellini artigianali affogati nella panna e la mancanza degli affetti più cari un buon pretesto per l’infuso serale accompagnato da tanti biscottini, ça va sans dire.

Elemento non trascurabile che influenza e influisce sullo stile di vita dello studente fuoricasa è la città che si sceglie per vivere. Cornice concettuale e musa di quanti credono nei catartici benefici di un’intensa sessione di shopping in centro, la città in cui uno studente universitario sceglie di vivere è importante. Conoscerla, vagliarla, annusarla, perdersi in lei può essere un ottimo esercizio per prendere coscienza delle proprie scelte.

Uscite. Cercate gli angoli più suggestivi della città, fatela vostra, più che potete. Prendete il karma, invitatelo a prendersi un gelato con voi. Contemplate quei dieci minuti di pausa (e che siano dieci, il karma ama il gelato, ma non è scemo) come un nutrimento (anche) per la vostra mente. Se tutto vi sembra ostile, fatevi furbi. Cercate, in quella che inizialmente potrebbe sembrare una sordida nemica, una strepitosa alleata. A coloro che ormai si fossero convinti che lo status di senzasede sia un qualcosa di congenito, insito nel proprio essere, che forse nemmeno lo vogliono, il posto nel mondo, che una vita non abbastanza tormentata, non sarebbero nemmeno capaci di gestirla, io dico: siate ribelli. Date fiducia a ciò che vi circonda. Provateci. In fondo, siete studenti universitari. Giovani intraprendenti, idealisti ma consapevoli, ambiziosi e presenti, attivi e dinamici, voraci consumatori di novità e di sapere, combattivi e coraggiosi, desiderosi di ricrearsi e di mettersi in gioco, di non arrendersi di fronte a crisi e a prospettive, che buttano l’uovo scaduto e si mangiano una pizza formato famiglia nel locale più vicino.

Lucia Malaguti

 

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