È da poco trascorso un anno dall’inizio della pandemia e delle conseguenti restrizioni alla socialità in generale. In questo balletto infinito fra una zona e l’altra, da mesi ormai le nostre giornate si svolgono prevalentemente online, tra interminabili sessioni di DAD, ritrovi virtuali con gli amici su Zoom – il bere social(e) non conosce barriere fisiche – e l’inevitabile cazzeggio che deriva dallo stare per ore al computer senza avere altri stimoli.
Insomma, se prima ci si lamentava di non avere mai abbastanza me time a causa dei ritmi serrati della vita di ogni giorno, ora ci si ritrova a rimpiangere i bei vecchi tempi, ricordando con nostalgia perfino i tragitti casa-università affrontati su mezzi pubblici carichi come carri bestiame. Una cosa è certa, nessuno sentirà la mancanza dell’obbligo a restare barricati in casa per mesi con familiari e coinquilini scomodi, né tantomeno delle lunghe ore di lezione online che bruciano le retine.
Sin dal principio telefoni, tablet e pc sono diventati la nostra condanna, ma anche la nostra via di fuga, un’estensione del nostro corpo da cui è difficile distogliere l’attenzione perché l’unica finestra da cui si può spiare sistematicamente il mondo aspettando che si rimetta in moto. Tuttavia, c’è anche chi non si preoccupa proprio di guardare attraverso questa finestra e che nel mezzo di una pandemia globale ha trovato il proprio piccolo angolo di paradiso: gli introversi.
In un momento storico in cui i termini “confinamento” e “distanziamento sociale” definiscono ogni aspetto della nostra vita ed è diventato imperativo imparare a convivere con sé stessi, gli introversi gioiscono della debacle della small talk e delle altre effimere interazioni quotidiane. Mentre prima per autoconvincersi a preferire un evento sociale affollato a Netflix era necessario un soliloquio interiore che Amleto levati, adesso rimanere spaparanzati sul divano è prova di responsabilità verso sé stessi e gli altri.
In un mondo in cui da sempre sono gli estroversi ad essere incensati per la loro capacità di prosperare nel chiasso mondano, nell’ultimo anno i ruoli si sono capovolti e oggi ad avere la meglio sono coloro che sanno stare bene con sé stessi senza interferenze esterne. Anzi sono i primi ad assurgere al ruolo di cittadini modello perché non si sognano nemmeno di infrangere le regole e limitazioni imposte.
Liberi dal calvario degli spazi condivisi e dissipata la FOMO (“Fear of Missing Out”, cioè la paura di essere esclusi da eventi sociali e la convinzione che tutti si stiano divertendo più di noi) indotta dai social network a forza di meme e stories sul banana bread, gli introversi si sono chiusi nella loro bolla spendendo il tempo a disposizione dei propri interessi, che sia trascorrendo ore immersi in un libro o intraprendendo nuovi hobby creativi, come la cucina o l’addestramento dei barbagianni.
Nel mentre, per la controparte le conversazioni con i vicini impiccioni nell’androne del condominio sono diventate il culmine della socialità nei giorni di reclusione e fare la spesa al supermercato sotto casa un’occasione per improvvisare ritrovi simil rave nella corsia dei surgelati.
Da tutto questo pandemonio però una lezione l’abbiamo imparata: quei momenti di convivialità tanto sofferti dai più riservati in fondo mancano un po’ a tutti, anche a loro. Non tanto la festa, il casino, la musica a palla (be’, anche quello…) quanto la possibilità di incontrarsi, di condividere un caffè – o meglio uno spritz, che tanto non ha orari – lo studiare gomito a gomito in biblioteca e seguire una lezione in presenza guardando il professore in faccia e, vivaddio, discutere dal vivo una tesi di laurea!
Introversi o meno, che siamo animali sociali si sapeva già dai tempi di Aristotele, ma lo abbiamo capito tutti ora che ci è stata tolta la possibilità di scelta; il distinguo tra non posso e non voglio fa la differenza. Saremo capaci di ricordarcene in futuro prossimo – spero non troppo lontano – quando potremo tornare a scegliere?
Ilaria Erbice