Recensione (trash): Distopia portami via!

Siete alla ricerca di un buon libro, che vi faccia dimenticare la sessione estiva grazie alla sua storia, personaggi, e ambientazione? Se la risposta è sì, questo romanzo non fa per voi.

Se invece volete leggere l’ibrido tra la versione tarocca di Hunger Games e Uomini e Donne, The Selection, scritto da Kiera Cass, è perfetto! Uno young adult “distopico” in piena regola, in cui la trama già inesistente viene messa da parte per far spazio a dettagli inutili, scene imbarazzanti e risvolti scontati.

Ma di cosa parla questo capolavoro del trash?

(attenzione spoiler)

La storia è ambientata in un’America futuristica, chiamata Illea, in cui regna una monarchia e la società, per un’arcana ragione che non ci è data conoscere, è divisa in caste numerate, dove gli Uno sono la famiglia reale e gli Otto, la casta più bassa, i reietti.

Ogni volta che un principe raggiunge un’età maritabile avviene la Selezione, un casting a cui possono partecipare tutte le ragazze di Illea per avere una chance a diventare la futura regina. Vengono infatti selezionate una trentina di giovani che avranno l’opportunità di flirtare con il principe, e, se sono fortunate, di conquistarlo e sposarlo. Praticamente l’autrice ha scritto questo romanzo basandosi su una puntata di Uomini e Donne.

La nostra protagonista, America Singer, appartiene ai Cinque, la casta degli artisti, e come ogni eroina che si rispetti in uno young adult ha un nome improbabile ed è descritta come una bellezza dai capelli rosso fuoco, intelligente, talentuosa, e fastidiosamente perfetta. Spinta dalla madre decide di iscriversi, anche se è già fidanzata segretamente con Aspen, un Sei, che nonostante sia povero e faccia la fame ha il fisico di un palestrato dipendente dagli shaker di proteine. Ovviamente non potevano che scegliere la nostra America come candidata, che dopo aver litigato con Aspen decide di partire, ma non per conquistare il principe, sarebbe troppo scontato. Quale sarà il suo obiettivo? Diventare la paladina delle caste inferiori? Cominciare una rivoluzione? Ovviamente no, lei vuole solamente mangiare il più possibile.

La storia poteva essere interessante, ma gli errori sono troppi. Cass non riesce a trasmettere lo stesso senso di oppressione e paura che traspare da romanzi come Hunger Games, quindi la sua distopia si trasforma più in un possibile futuro, né peggiore né migliore di altri. I ribelli, che per tutta la prima metà del libro sono nominati con terrore quasi reverenziale, si rivelano essere semplicemente dei poveri, stanchi di morire di fame e le cui abominevoli azioni criminose sono lanciare sassi contro le persiane del palazzo e rompere qualche vaso. Come entrino nel palazzo non viene mai spiegato: hanno degli infiltrati? Dov’erano le guardie? Le mura che cingono la proprietà sono forse fatte di cartapesta?

I personaggi sono però la cosa peggiore, stereotipi viventi la cui unica utilità è creare situazioni improbabili che alla fine si risolvono sempre a favore della protagonista, una Mary Sue in piena regola. Perché, a parte il nome ridicolo, tutto di lei sembra essere perfetto. È bellissima, eppure sembra non averne idea, è altruista, suona il violino, e ovviamente ha una schiera di uomini pronti a sposarla e rischiare la vita per lei. Ma lei non è così frivola, non le interessano i vestiti da favola, il palazzo da sogno, il principe che ogni ragazza desidererebbe, no, lei ha interessi e obiettivi ben più importanti: rappresentare le caste inferiori. Questo finché non vede il cibo, e si dimentica di tutti i suoi buoni propositi e inizia a strafogarsi di pasticcini alla fragola.

Un romanzo, quindi, che parte bene, però peggiora di pagina in pagina; l’etichetta di romanzo distopico non è appropriata, sarebbe potuto essere benissimo un romanzo rosa di successo, dopotutto chi non ha mai sognato di sposare un principe?

Silvia Pegurri

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